La vergogna che non c’era

C’era qualcosa di marcio nell’aria quella notte, un odore di pioggia e paura annidata tra i vicoli digitali dove i mostri non indossano maschere ma nickname. Jolanda la sentì appena aprì il messaggio: la schermata del telefono illuminava il buio come una pistola puntata contro la dignità. “Se non paghi, a mezzanotte il mondo vedrà tutto quello che hai sempre nascosto”. Era un capolavoro d’odio, la firma era un codice indecifrabile.
Nel suo petto, il cuore suonava la sirena dell’allarme. Il nome di sua madre Ambra e di suo padre Francesco erano scudi pesanti, ma di quei tempi i ricatti viaggiavano veloci, senza fermarsi di fronte ai cognomi. Jolanda era cresciuta con la luce dei riflettori negli occhi, ma sapeva benissimo: la vergogna non è uno spettacolo, è solo un’ombra gettata da qualcun altro.

Non ci pensò troppo. Bloccò il numero senza rispondere, bruciando il ponte tra lei e chi voleva il suo silenzio. E poi, con una calma da attrice navigata, scese in salotto e raccontò tutto a sua madre. Risero, piangendo appena sotto la pelle, perché così si fa quando la realtà sembra uno spettacolo grottesco: la platea del web non fischia mai, applaude solo lo scandalo.

Le foto, Jolanda lo sapeva, non esistevano. Era l’ultima magia nera della rete: volti e corpi cuciti insieme da algoritmi senz’anima. Un click bastava a far crollare ogni certezza. Ma non la sua.

L’indagine partì all’alba, come un cane lanciato sul sangue. La polizia braccava il colpevole tra server e indirizzi IP, e intanto Jolanda usava il suo profilo social come una pistola carica: parlava, denunciava, raccontava. “La vergogna non è mia, ma di chi mi ricatta”. Un graffio in faccia a chi voleva ridurla al silenzio.
Fu grazie a quella voce, spalancata invece che soffocata, che il carnefice venne preso. Un ragazzino solo, una tastiera troppo cattiva. Nessun mostro sotto il letto, solo un ratto infreddolito da luci al neon.

Il pubblico social per una volta tornò umano. “Coraggio”, scrissero in tanti. “Sei più grande delle tue paure”.

Quella sera, Jolanda spense il telefono. Guardò sua madre, suo padre, la città che dormiva dietro i vetri. Aveva imparato che la dignità è come la musica: non si lascia zittire dai soldi, né dall’odio di chi usa i fili invisibili per muovere la paura.
Era finita.
E nella notte, per la prima volta da giorni, Jolanda tornò a sentirsi leggera. La vita non era una trappola, ma una stanza finalmente illuminata.

La cronaca

La ventunenne Jolanda Renga, figlia di Ambra Angiolini e del cantante Francesco Renga, ha denunciato sui social il 14 ottobre 2025 di aver subito un tentativo di sextorsion, o ricatto sessuale. Qualche giorno prima, Jolanda aveva ricevuto un messaggio minaccioso in cui le si comunicava che alcune foto che l’avrebbero ritratta nuda sarebbero state pubblicate in poche ore se la madre non avesse versato diecimila euro. La ragazza ha spiegato in un video affidato ai social di aver pensato a immagini modificate con l’AI e di aver reagito bloccando il numero e avvisando i genitori.


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